Unionfood: +11% export traina fatturato 2024. Barilla: Italia può far bene

Unionfood: +11% export traina fatturato 2024. Barilla: Italia può far bene

Milano, 18 giu. (askanews) – Il 2024 per l’industria alimentare italiana associata a Unione italiana food si è chiuso con un fatturato a 58 miliardi di euro, il 2,6% in più rispetto a un anno prima. A trainare il risultato è sostanzialmente l’export che rappresenta il 40% del totale, pari a 23 miliardi di euro, in aumento dell’11,4% sul 2023. Ad apprezzare l’agroalimentare italiano fuori dai confini nazionali sono principalmente Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Spagna e Polonia mentre Asia, Nord Europa e Medio Oriente rappresentano nuove opportunità per prodotti salutistici e plant-based. A scattare la fotografia è il rapporto annuale di Unione italiana food, presentato in occasione dell’assemblea tenutasi quest’anno presso l’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, che ha visto riuniti i rappresentanti di alcune delle oltre 500 aziende associate, che contano oltre 100mila occupati.

Un’occasione per presentare i risultati dell’anno passato ma anche per riflettere sulla situazione attuale. Tra minacce di dazi e conflitti che creano instabilità a livello globale, accanto a una cronica perdita del potere d’acquisto degli italiani, si è registrata più di qualche preoccupazione tra gli industriali, ma la flessibilità del modello industriale e la qualità del prodotto italiano, su cui ora più che mai occorre investire, possono essere, a detta di molti, due leve per un’efficace resistenza alla congiuntura economica.

“Le oltre 500 aziende sono un bello specchio del Paese, offrono un quadro abbastanza completo di qual è la vitalità del territorio – ha commentato Paolo Barilla, presidente di Unione italiana food in occasione dell’assemblea dell’associazione a Pollenzo nella sede dell’università di Scienze Gastronomiche – La cosa più rilevante è che continua ad andare bene l’export, almeno per i primi mesi di quest’anno ed è un dato molto interessante perché alla fine è legato alla qualità e alla cultura del prodotto, e non c’è altra strada per noi”. Certo ora siamo in una “nuova fase che va misurata, con gli effetti sull’export delle vicende politico-economiche dell’ultimo periodo, ma per quelle – ha assicurato – ognuno sta prendendo le misure e ogni impresa secondo la propria posizione deciderà cosa fare”. Ed è qui che entra in gioco la flessibilità del modello industriale italiano: “L’Italia ha vari tipi di imprese e varie posizioni sul mercato e penso che comunque possa far bene – ha osservato il presidente di Unionfood – Ci può essere magari un piccolo contraccolpo temporaneo ma sono sicuro che fra innovazione e flessibilità si tornerà a regime. Ciò che conta di più è l’eccellenza di prodotto che è cultura nazionale da difendere e da promuovere”.

Nel rapporto annuale emerge come il comparto investa ogni anno più o meno il 5% del fatturato, parliamo di circa 3 miliardi di euro per innovare, migliorare e rendere più sostenibili filiere, processi e prodotti, provando ad anticipare le tendenze di mercato. Parliamo di un’innovazione che riguarda 24 categorie merceologiche e 900 marchi dalla pasta ai dolci, caffè, surgelati solo per citarne alcuni.

“L’innovazione diventa molto rilevante soprattutto al di fuori dell’Italia – ha sottolineato Barilla – ci sono economie dove i cambiamenti nelle abitudini di consumo sono velocissimi e questo è un campo dove l’Italia può sicuramente accelerare perché noi abbiamo tutti gli ingredienti da cucinare e li assembliamo. Il next step deve essere proporre sempre più soluzioni già pronte. Se l’Italia vuole guardare a tutta la parte asiatica ad esempio il contenuto di servizio diventa fondamentale. Qui si entra in una dimensione di innovazione rivoluzionaria rispetto alla nostra tradizione ma affascinante perché possiamo avere un ruolo”.

Ma nel disegnare gli scenari futuri per far continuare a crescere l’industria alimentare italiana nonostante la congiuntura, occorre non smettere di investire sulla sostenibilità. Il monito è arrivato dal padrone di casa, Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che intervenendo alla parte pubblica dell’assemblea ha avvertito: “In un momento come questo tenere la barra dritta su comportamento produttivi che non impattano sull’ambiente è una questione distintiva di una buona politica produttiva in campo alimentare. In questa sala ci sono realtà che questo percorso l’hanno già intrapreso e sono molto più avanti della politica. A loro dico non mollate perché ancorché oggi l’attenzione si sposta verso le guerre non di meno la situazione del degrado ambientale non si ferma”. “Voi – ha detto – siete una punta di diamante che può fare la differenza e questo in questo momento storico è molto importante”. E pensando proprio alla forza del made in Italy alimentare all’estero ha ricordato: “Nessuno è forte fuori se non è forte a casa sua”.

Guardando al paniere di prodotti rappresentati da Unionfood, si osserva come i prodotti “tradizionali” (pasta, lievitati da ricorrenza, cioccolato, caffè, tè e infusi, ecc.) si confermino una “fetta” significativa, pari a circa il 50%, sul fatturato totale, mentre il cosiddetto “tradizionale evoluto” (caffè in cialde, surgelati, verdure pronte di IV gamma, sughi e piatti pronti, nuovi prodotti dolciari, ecc.) rappresenti ormai il 30% a valore. Il 20%, invece, sono “prodotti innovativi”, cibi e bevande dall’alto livello di servizio che soddisfano le richieste di consumatori sempre più esigenti per quanto riguarda la conservazione e la preparazione dei piatti e gli aspetti nutrizionali e salutistici.

Nel dettaglio, i comparti lo scorso anno hanno mostrato segnali di crescita moderata: la pasta, con oltre 4 milioni di tonnellate prodotte (+5% nei volumi) e una quota export del 58% conferma la leadership mondiale italiana. Il comparto dolciario vale quasi 19 miliardi di euro e compensa con l’export la contrazione dei consumi interni. Crescono surgelati (5,7 miliardi di euro, +1,8 sul 2023) e caffè per un valore 4,7 miliardi di euro (+,8,5% sul precedente). Stabili i prodotti vegetali (valgono 4,8 miliardi di euro) con un picco per la IV gamma, e cioè frutta e ortaggi freschi lavati e pronti al consumo, o vellutate, minestre e zuppe pronte. Anche la crescita del settore delle preparazioni alimentari (5,3 miliardi di euro, +5,1% sul 2023) mostra la predilezione degli italiani per prodotti premium (brodi, minestre, salse e sughi pronti) che coniugano praticità e gusto. Rientra tra le catecorie degli alimentari anche quella degli integratori che sta vivendo una fase di crescita con un fatturato a 4,9 miliardi di euro e una crescita del 5,9%.

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