Regionali,sfida Meloni-Salvini allunga tempi su Veneto. No a lista Zaia

Regionali,sfida Meloni-Salvini allunga tempi su Veneto. No a lista Zaia

Roma, 22 lug. (askanews) – C’è chi arriva persino a ipotizzare che alla fine l’annuncio del nome del candidato sarà tirato fuori strategicamente a ridosso di ferragosto – quando la politica sarà ufficialmente in vacanza – per attutirne l’effetto. Altri sono pronti a scommettere che invece non si deciderà prima di settembre. Perché su una cosa nel centrodestra sono tutti d’accordo: chi tra Fratelli d’Italia e Lega perderà la sfida del Veneto dovrà comunque gestire una decisione difficile da far digerire alla base e al territorio. L’incontro che si è tenuto ieri sera a casa di Giorgia Meloni, presenti Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi, non è servito a sciogliere il nodo dei nodi, quello del successore di Luca Zaia, ormai fuori gioco dopo il definitivo stop al terzo mandato ma comunque protagonista di primo piano in tutta la partita.

Nel day after, lo scarno e molto formale comunicato che ne è seguito, infarcito di formule di rito come il riferimento “al clima di grande cordialità” e all’avvio di un ragionamento “costruttivo”, viene tradotto da chi ha avuto modo di parlare con i leader, come la certificazione dello stallo. Nuova puntata la prossima settimana, quando torneranno a incontrasi (forse mercoledì).

Da una parte Matteo Salvini che insiste nel rivendicare per la Lega una storica roccaforte, la cui perdita non potrebbe non avere conseguenze all’interno del partito stesso. Dall’altra Giorgia Meloni che ricorda agli alleati come Fdi sia sotto rappresentata nella guida delle Regioni, con zero esponenti al Nord. Di mezzo, la tenuta complessiva dell’intera maggioranza che, superato lo scoglio di questa tornata elettorale e poi della manovra, sarà di fatto in campagna elettorale permanente per le Politiche. Ma anche il ruolo del ‘Doge’ e il grande punto interrogativo della presentazione di una sua lista personale. Zaia continua a rievocarla: la premier non la vuole perché rosicchierebbe voti al suo partito, Salvini nemmeno perché – per quanto formalmente si remi tutti nella stessa direzione – potrebbe certificare chi è il vero ‘padrone’ dei voti in Veneto.

Nello specifico, quando si parla del governatore, il tema è anche quello del suo futuro. Giorgia Meloni ha posto un paletto invalicabile che è la sua assoluta contrarietà a qualsiasi mossa che porti a un rimpasto. L’ipotesi di cui si ragiona è quella di un posto da ministro, magari in un prossimo governo, con una fase di passaggio come candidato al consiglio regionale o in una delle eventuali suppletive che si potrebbero aprire, considerando che alcuni dei nomi in ballo sono stati eletti in un collegio uninominale. Ormai quello su cui si ragiona è un poker: da una parte per la Lega Alberto Stefani (nome preferito da Salvini) e il sindaco di Treviso, Mario Conte, dall’altra per Fdi i due senatori Raffaele Speranzon e Luca De Carlo. Nelle prossime settimane potrebbero essere avviati dei sondaggi per capire chi potrebbe godere di maggior gradimento. Stesso schema che potrebbe essere ripetuto anche in Campania dove Fdi schiera Edmondo Cirielli ma in pista resta ancora anche il commissario per la Zes unica del Mezzogiorno, Giosy Romano, che – viene spiegato – avrebbe un profilo in grado di intercettare voti anche tra gli elettori di De Luca e su cui convergerebbe anche Azione.

In questo clima, si può ben capire la consegna del silenzio che circonda la trattativa. Alla Camera il Transatlantico è pieno di esponenti, anche di primo piano dei partiti di maggioranza, che dicono che di non sapere nulla, di non essere stati aggiornati nemmeno dai loro leader di riferimento. Non sarebbe un caso, e non si tratterebbe nemmeno di mantenere la necessaria prudenza per la delicatezza della trattativa: Giorgia Meloni in persona avrebbe infatti chiesto ai suoi alleati di non alimentare le indiscrezioni o le fughe di notizie sui giornali.

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