Pasta, Unionfood: allarmismo ingiustificato, prezzo alla produzione +8,4%

Pasta, Unionfood: allarmismo ingiustificato, prezzo alla produzione +8,4%

Aumento al consumo (+16,5%) frutto di dinamiche esterne ai produttori

Milano, 11 mag. (askanews) – La pasta è la soluzione non il problema e l’allarmismo di questi giorni intorno al prezzo a scaffale è ingiustificato. Del resto, anche coi rincari attuali, l’aggravio annuo per i consumatori è di circa 10 euro. E’ questo il messaggio lanciato dai pastai riuniti in Unione italiana food al termine della prima riunione a Palazzo Piacentini a Roma della Commissione di allerta rapida sui prezzi della pasta convocata dal ministero delle Imprese. – Il prezzo della pasta alla produzione è cresciuto in un anno del +8,4% (dati Istat, marzo 2023 su marzo 2022), ovvero al pari dell’indice di inflazione medio registrato dai beni al consumo, osservano. L’incremento per il consumatore, che dipende da dinamiche esterne al mondo della produzione della pasta, si attesta invece su una percentuale del +16,5% (e non del 17,5% o di altre cifre enunciate erroneamente in questi giorni) quando la media del totale dei prodotti alimentari è del +15% (dati Istat, aprile 2023 su aprile 2022). Parliamo quindi di un rincaro sul prezzo della pasta che si attesta di un punto e mezzo percentuale in più rispetto agli altri prodotti alimentari, si legge in una nota.

“Vorremmo che si uscisse da questa giornata con il riconoscimento che la pasta è la soluzione, non il problema. Lavoriamo tutti nella direzione di tutelare sempre al meglio i consumatori ma, seppur i costi rimanessero quelli attuali, non possiamo dimenticare che l’aggravio di spesa per persona all’anno sarebbe di circa 10 euro, ovvero il 16,5% in più su un prodotto che costa in media circa 1,07 euro al pacco (dato Istat) – affermano i pastai guidati da Riccardo Felicetti – Insomma, ben al di sotto di tanti altri rincari e perfettamente in linea con il costo dell’inflazione. Tenendo conto che si tratta di un prodotto che finisce quotidianamente sulle tavole degli italiani, sinceramente l’allarmismo di questi giorni appare davvero poco giustificato. Si sono letti tanti numeri, alcuni anche sbagliati: resta il fatto che noi pastai possiamo solo ribadire che il prezzo della pasta alla produzione è aumentato del +8,4%, in linea con l’aumento dell’indice d’inflazione medio dei beni al consumo. Se l’aumento del prezzo al consumo è stato poi del +16,5%, non è a noi che dovete chiederne ragione”.

Secondo Unionfood, l’incremento del prezzo della pasta “presentato come un’allerta, è invece un dato logico e facilmente spiegabile”. La pasta oggi a scaffale è stata prodotta mesi fa con grano duro acquistato alle quotazioni del periodo ancora precedente, con i costi energetici del picco di crisi bellica, cui si sono aggiunti i forti costi del packaging (carta e plastica) e della logistica (carburante, pallet, containers). I prezzi di oggi, quindi, sono il risultato di una libera contrattazione fatta dalle singole aziende con la distribuzione. Una situazione che i pastai di Unione Italiana Food hanno definito come una “tempesta perfetta” per il settore della pasta e non solo (anche gli altri beni alimentari hanno subito gli stessi incrementi). “È vero – ammettono – che i costi sono scesi ma non sono tornati ai livelli del passato e sono ancora piuttosto sostenuti rispetto a quelli registrati a cavallo del 2020/2021”.

All’inizio del 2022, ricordano, il prezzo del grano era salito a quasi 600 euro a tonnellata (+110% rispetto allo stesso periodo del 2021) ed ora è sceso sensibilmente, attestandosi tra i 350 e i 380 euro (comunque +30% rispetto al 2019). Stessa dinamica la si può riscontrare per i costi energetici e le altre voci di costo. “Quando il grano duro era alle stelle non è stato avvertito nessun grido di allarme per i pastai. Eppure, si tratta di un settore con una marginalità ridottissima visto che con poco più di un euro si acquista un pacco di pasta da 500 grammi e in quell’euro ci stanno tutte le voci di costo: il grano duro, la trasformazione del grano in semola, i costi energetici di aziende fortemente energivore (elettricità e gas), il packaging, i trasporti ed altro ancora”,concludono.

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