Padre Occhetta: ancora troppe guerre e diritti violati

Padre Occhetta: ancora troppe guerre e diritti violati

Comunità di Connessioni a 75 anni dalla Dichiarazione universale

Milano, 23 apr. (askanews) – Padre Francesco Occhetta, gesuita, fondatore e direttore di Comunità di Connessioni e segrtario generale della Fondazione Fratelli Tutti, è intervenuto con un editoriale sui 75 anni dall’approvazione della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, datata 1948. “Dopo 75 anni dalla sua approvazione – scrive Occhetta – è utile interrogarsi sull’attualità dei diritti e degli impliciti doveri sanciti dalla Dichiarazione, sul loro fondamento e sull’efficacia della loro tutela, per poterci porre un’ulteriore domanda: perché i diritti umani ‘regnano ma non governano’ e perché si compiono le più feroci crudeltà nel loro nome? Nel Rapporto 2022 di Amnesty International emerge uno scenario inquietante: sono circa 160 le guerre in corso, aumenta la violenza sessuale in diverse regioni del mondo. I conflitti hanno causato, inoltre, grandi flussi di rifugiati e sfollamenti interni come in Ucraina, in Repubblica Democratica del Congo e nella regione del Corno d’Africa. Una forte limitazione alla libertà d’espressione, di associazione e di riunione si registra in Afghanistan, in Myanmar, in Mali e in India. Il governo cinese ha invece imposto una censura sempre più pervasiva e sofisticata contro gli uiguri e altri gruppi etnici di minoranza nello Xinjiang. In Turchia e Messico sono stati perseguitati decine di giornalisti, difensori dei diritti umani”.

“Oltre ai diritti di prima e seconda generazione, si parla anche di una terza generazione di diritti, in relazione alla pace, allo sviluppo e all’ambiente. Sono i diritti propri dell’era dell’interdipendenza mondiale, la cui realizzazione deve fondarsi sulla solidarietà e la cooperazione multilaterale. Per poter far questo, però, è utile che le popolazioni e le culture si pongano una domanda radicale: ‘Chi è la persona titolare di diritti?’. La risposta a questa domanda risiede nelle soluzioni pratiche del modo nel quale uno Stato rispetta gli immigrati, i carcerati, i poveri, le famiglie bisognose, i bambini abbandonati, le donne violentate, gli anziani, i rifugiati e gli sfollati che sono circa 45 milioni. L’Italia può dirsi rispettosa di questa nuova etica? Per la Chiesa cattolica la difesa dei diritti umani è parte integrante dell’azione evangelizzatrice: il Concilio Vaticano II ha accolto la Dichiarazione soprattutto in materia di libertà di religione; l’enciclica Pacem in terris definisce la Dichiarazione come ‘segno dei tempi’; mentre i numerosi pronunciamenti magisteriali e i viaggi apostolici di Giovanni Paolo II hanno più volte ribadito che per la Chiesa la difesa della dignità della persona è legata al rispetto dei diritti. Certo, fu necessaria un’evoluzione: si temeva che le libertà della Dichiarazione relegassero la fede ai margini della società e che i diritti individuali minacciassero l’impegno a favore del bene comune. Nella prima metà del secolo scorso, i principali sforzi della Chiesa in campo internazionale si sono concentrati per creare «un’autorità mondiale» che garantisse il reale rispetto dei diritti umani e la pace nel mondo”.

“Questo momento storico ricopre di un’ombra le parole scritte nella Dichiarazione, e quindi occorre vigilare sull’uso delle espressioni e delle dichiarazioni impiegate nel mondo politico, sulla difesa della verità storica e sul clima sociale che rimane il termometro dell’applicazione dei diritti. È per questo che il 21 aprile il Presidente Mattarella ha voluto ribadire che per un rinascimento europeo occorre ripartire dalla Cultura che genera prossimità e vince le diffidenze e le paure: «La fraternità europea, se derivato della triade illuminista — insieme con uguaglianza e libertà —, va intesa come consapevolezza di comune destino e va oltre la solidarietà. Se i valori espressi dalle singole comunità erettesi in Stato sono comuni, è naturale e soprattutto autentico parlare di fraternità europea”.

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