Nuovi Orizzonti, a un mese di distanza la Missione di Roma continua
I missionari di strada: “si è innescato qualcosa che non vuole finire”
Roma, 11 nov. (askanews) – ‘È passato quasi un mese dalla Missione di Roma, quando più di 400 missionari sono andati per le strade, nelle piazze, nelle scuole, in università, ospedali, carceri, centri commerciali… in tanti luoghi di aggregazione per proporre l’esperienza di Dio attraverso incontri, ascolto, testimonianze o momenti di preghiera e di festa. È stato forte, anche i più esperti sono rimasti sorpresi da come il Signore ha operato e dalla sete grande delle persone incontrate. Si è innescato qualcosa che non vuole finire: i sacerdoti delle parrocchie di Roma vedono tornare le persone incontrate, che li cercano; persone lontanissime dalla Chiesa hanno ripreso a frequentare la Messa e si sono messe a disposizione per attività di volontariato. La Missione continua’.
Un articolo per il sito di Nuovi Orizzonti, la comunità fondata da Chiara Amirante, racconta il bilancio della missione di strada a Roma e, a distanza di un mese, la sua continuità.
‘Pochi giorni fa – spiega Don Davide Banzato che ha curato con la redazione del sito di Nuovi Orizzonti questo articolo – ero connesso con un gruppo in cui c’era Catalina, che è venuta apposta dal nord della Germania per vivere qualche giorno di Missione. All’inizio della connessione, ho notato che aveva al polso il braccialetto rosso dei missionari, col QR Code che rimanda alle informazioni sulle nostre attività. Le ho chiesto perché portava ancora il braccialetto e mi ha risposto che così la gente lo notava, le chiedeva e lei poteva spiegare… E nella stessa connessione era presente una statunitense incontrata in Piazza del Popolo, che ora dagli Stati Uniti segue la SpiriTherapy: la Missione continua. E ogni sabato la gente di Nuovi Orizzonti torna in piazza, in strada, là dove siamo nati, là dove è nato il Vangelo’.
Ecco alcuni racconti dei missionari:
Mi ha colpito soprattutto un ragazzo che camminava insieme a noi, come me alla sua prima esperienza di missione: i primi giorni non sorrideva, non riusciva ad esprimere i suoi sentimenti. Ma poi pian piano già dal secondo giorno tutti vedevamo in lui una luce diversa. Ha iniziato a raccontare di se stesso e delle sue ferite, ha trovato in noialtri missionari dei fratelli a cui affidare il suo dolore. Alla fine della missione sembrava un ragazzo nuovo.
A volte penso che ‘gli ultimi’ siano quelli senza una lira, e invece ho visto sguardi spenti e tristi, tanto tra gli studenti all’università la Sapienza, tra i lavoratori in giacca e cravatta, tra i ‘trasgressivi’ dell’ultimo banco a scuola, tra i commessi sorridenti di Dior e in strada sui cartoni… ma ho visto quegli sguardi duri cambiare e sciogliersi quando capivano che non eravamo in giro per vendere qualcosa o per pubblicizzare… eravamo lì solo per ascoltarli, per chinarci sulle loro sofferenze, perché potevano gettare via per un attimo ogni meccanismo di difesa e mostrarsi così come erano. Mi porto il desiderio di eternità che ho visto impresso nei loro cuori. Davanti all’ ‘Amore per sempre’ si scioglievano. Siamo fatti per quello.
Un’altra esperienza con due ‘invisibili’ l’ho vissuta alla stazione Termini. Qui Anton e Florian in principio erano arrabbiati, non tanto con noi che ascoltavamo la loro storia, quanto nei confronti di Dio, dal quale si sentivano abbandonati. Quando una missionaria ha testimoniato come Gesù ha cambiato la sua vita, il loro sguardo è cambiato, e quando uno di noi ha abbracciato Anton, senza chiederglielo, con un gesto spontaneo d’amore, quest’ultimo ha sentito l’abbraccio di Gesù, come ci ha detto lui stesso.
I primi giorni sono stati difficili, mi sentivo fuori luogo. I giorni successivi sono riuscita a uscire dai miei limiti, fermavo qualsiasi persona e non sentivo stanchezza. Giorno dopo giorno avevo il desiderio di dare sempre di più, di trasmettere l’amore che avevo in quel momento dentro di me. Più persone evangelizzavo e più quest’amore aumentava. Sentivo Gesù vicino a me.
Persone incontrate al carcere di Rebibbia mi hanno consegnato vissuti importanti in una combinazione di ferite e speranze. Hanno toccato il mio cuore, commuovendolo e attivandolo in una profonda preghiera perché le loro vite rifioriscano al più presto. Insieme abbiamo consegnato al Signore tutto il peso che continua a segnare il loro presente. Ed Egli ha immediatamente consolato e trasformato il volto di questi fratelli, rendendoli contagiosi di una luce che prima mancava. Insieme agli altri detenuti e agli amici missionari, infatti, siamo stati spettatori e allo stesso tempo protagonisti della presenza e dell’azione dello Spirito Santo in quella cappellina tra i padiglioni di Rebibbia, in quel preciso gruppo che con noi ad un certo punto ha iniziato a cantare e ballare, a condividere abbracci e una forte vicinanza fraterna. Incredibile… eppur vero!
All’università La Sapienza con tre ragazze indonesiane, una cattolica, una protestante e l’altra islamica: abbiamo pregato insieme a loro ed è stato bello! Al centro commerciale avevamo il cartello degli ‘abbracci gratis’ e una signora dopo aver letto il cartello mi dice: ‘Da quanto tempo lo aspettavo!’. Quanto c’è bisogno di abbracci!
E poi c’è stata la festa, c’è stata la preghiera, c’è stato il momento finale che ha fatto esplodere quella gioia incontenibile che mi portavo nel cuore.
Mi sono rimaste nel cuore le ragazze dell’istituto professionale che hanno paura di essere felici, perché la felicità a volte fa veramente paura: in particolare Alessia e la sua solitudine, quella solitudine dove chiedere aiuto è più difficile della paura stessa del lasciarsi amare.
Grazie a voi ragazzi, perché mi ricordate che per raggiugere la felicità dobbiamo essere noi per primi a rincorrerla e soprattutto c’è Qualcuno che prima di noi vuole donarcela. L’ultimo grazie va a te, Chiara, perché, nonostante le tue quattro sindromi, sei stata in prima linea a testimoniare nelle piazze e nelle strade che Dio è amore e che senza di Lui siamo nulla. Grazie perché ancora una volta ci hai dimostrato la forza da Lui donata, una forza e una fede che sposta le montagne, che spazza via ogni nuvola, che fa gridare al mondo che siamo amati da un Amore pazzo e incondizionato.
Tra le corsie di neurochirurgia insieme ad un sacerdote ho potuto tenere la mano ad una donna che aveva appena subito un delicato intervento alla testa. L’incontro con quegli occhi di moglie, di madre di due figli, di una donna giovane con una strada così in salita mi ha spalancato il cuore e mi sono sentita privilegiata a poter custodire le sue lacrime; anche quelle di un uomo molto coraggioso e tenace che non poteva alzarsi dal letto senza un aiuto per riprendere piano piano a camminare e si è lasciato accompagnare da noi, riprendendo improvvisamente fiducia nel poterci riprovare da solo, sostenuto da una fede rinnovata e così come le lacrime di un altro uomo che ci ha raccontato che dopo un incidente gravissimo, in un’esperienza di premorte ha visto Gesù e ha lasciato una vita di truffe e criminalità in favore di una vita onesta, alla ricerca della vera ricchezza che non si perde. Porto nel cuore la semplicità dell’accoglienza che abbiamo ricevuto da un gruppo di giovani: alcuni stavano fumando degli spinelli quando siamo arrivati e ci siamo trovati a festeggiare i 15 anni di una ragazza davvero tenerissima. Loro ci hanno tenuto che stessimo lì con loro a festeggiare e accettando di pregare insieme e chiedendoci di pregare ancora. Uno di loro, Alessandro, residente di un quartiere malfamato di Roma, è venuto al concerto finale ed è rimasto a pregare e cantare con noi e ci ha condiviso che ‘una cosa così bella non l’aveva mai vissuta’. Ho sperimentato la vertigine di un amore capace di miracoli.
La missione di Roma è stata forse la settimana più emozionante della mia vita. Un giorno siamo andati a San Pietro, mi sono messo a chiedere lo Spirito Santo e poi, voltandomi, mi è venuto incontro un ragazzo. Ci siamo fermati e l’ho subito abbracciato e nel parlare mi ha raccontato che vive per strada, che è stato in galera, che fuma cocaina e ha cominciato a parlare e a raccontare. Intorno a questo ragazzo si è formato un gruppo di missionari e, nel ricevere un abbraccio da uno di noi, mi ha stupito vedere il suo volto cambiare, rilassarsi, e ho visto nascere nei suoi occhi un po’ di pace e speranza. Alla fine L’abbraccio di Chiara che mi ha ringraziato della testimonianza che ho fatto e trovarmi lì con lei che ringrazia me è stato troppo emozionante: vorrei ringraziarla di cuore per questa realtà che ha creato visto che in quel momento sono rimasto senza parole e non sono riuscito a dirglielo.
La cosa che mi porto dietro di questa missione è che ho capito che, se stai all’amore e credi veramente che Dio c’è, si può aprire un mondo che per me prima era solo fantasia; da questa missione ho capito che vorrei donare l’amore che mi è stato donato e poter aiutare, o almeno provare a spiegare a chi è come ero io nella solitudine, che insieme a Dio e alle persone si può uscire dagli inferi.
Se tra il caos di Roma perdevo le persone di riferimento, appena vedevo un altro gruppetto con la mia stessa maglietta rossa mi sentivo già al sicuro, perché anche se non le avevo mai viste in vita mia, sapevo che erano persone squisite! Nella chiesa San Giuseppe Cottolengo eravamo sempre indaffarati: chi partiva e chi tornava, sembrava un alveare di api produttrici d’amore! Quando penso a tutto ciò mi si riempie il cuore d’amore. Sicuramente non dimenticherò l’incontro fatto con Sofia durante la ‘Luce nella notte’ al centro commerciale Aura: sugli scalini c’era una ragazzetta intenta a guardare il suo telefonino: anfibi ai piedi, pantaloni neri e giacchetto in pelle nero. Ho guardato il mio fratello Jimmy, appena conosciuto, facendogli cenno di sedersi con me sugli scalini inferiori e così abbiamo conosciuto la studentessa punk: le parlavo ma lei, guardando il cellulare, mi ha detto che il suo ragazzo stava arrivando a prenderla e non aveva tempo per ascoltarmi. Mentre temporeggiava, io le parlavo e appena le ho parlato del mio incontro con l’amore, ha alzato lo sguardo e mi ha ascoltato incuriosita. Le ho proposto di entrare in chiesa e non avrei mai pensato che avrebbe accettato. Non esistono parole per descrivere cosa ho provato portandola di fronte a Gesù e pregare con lei in ginocchio, una ragazzina così piccola. Terminato tutto, fuori dalla chiesa, con le lacrime sul viso, mi ha ringraziato per averle fatto conoscere il nostro Gesù.
Ripenso agli occhi dei ragazzi e delle ragazze delle scuole che da vacui e spenti diventano vivi e assetati, perché il nostro cuore riconosce l’Amore, il nostro cuore riconosce Dio.
‘Ringrazio Gian Michele, Giulia, Glauco, Chiara, Davide, Rita, Carmen, Francesca, Francesca, Riccardo, Salvatore e Sara per le loro condivisioni – conclude Don Davide Banzato -. Il titolo della Missione era Vivi per qualcosa di grande. Ecco: è successo qualcosa di così grande che non ci stanchiamo di raccontarcelo. Così grande che la Missione continua! ‘.