Modernità del Trittico di Giacomo Puccini
L’anno del centenario pucciniano si apre domani alle ore 19 sul palcoscenico dell’opera di Tirana con Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi nella loro unità. Sul podio il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, in regia Ada Gurra con le scene del LXX Festival Puccini
Crediamo che nessuno abbia mai notato come nell’intera storia del melodramma non esista un’opera composta, come il cosiddetto “Trittico”, da tre lavori dello stesso autore, non conformi per drammaturgia e distanti quanto a soggetto, luogo, tempo da eseguirsi nella stessa sera.
In Puccini l’idea del “Trittico”, tanto originale quanto avversata dal suo editore, è “antica” e lenta, ma sicura nel definirsi con grande chiarezza. Si fa strada, già all’indomani della prima Tosca, col progetto di tre atti unici dal titolo Inferno, Purgatorio, Paradiso, il preannuncio dantesco che si compirà in Gianni Schicchi. L’affiancarsi alle esperienze europee sarà testimoniata proprio dal “Trittico”.
L’atto unico dal libretto snello, diventa per Puccini l’occasione ideale per approfondire la ricerca del nuovo, nel segno di un teatro e di una musica antiretorici e duttili. Ne nasce un esercizio stilistico moltiplicato per tre, ma pure un esercizio teatrale sui registri, rispettivamente, tragico, lirico e comico.
Da una parte c’è Puccini che afferma essere l’arte quella che è soprattutto “quella che faccio io”, ostenta cioè un’orgogliosa consapevolezza e mostra la capacità di gestire l’aggiornamento dell’espressione teatrale. Dall’altra c’è il Puccini che dice: “Ci sono leggi fisse in teatro: interessare, sorprendere e commuovere o far ridere bene”.
L’Opera Nazionale di Tirana apre l’anno celebrativo del centenario della scomparsa di Giacomo Puccini proprio con Trittico, giovedì 29 febbraio alle ore 19, con repliche sino al 3 marzo, che sancisce anche l’inizio della collaborazione del teatro con il Festival Puccini di Pizzi e Moretti, che hanno offerto costumi e scene, affidate alla regista Ada Gurra e l’Istituto Italiano di Cultura.
“Amore per la famiglia, amore per i figli e perché no, amore per se stessi che, in fin dei conti, non guasta e per citare il nobile poeta inglese che di amore certo qualcosa ne sapeva, se è vero che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni – le ragioni della scelta del direttore artistico M° Jacopo Sipari, che sarà sul podio alla testa dell’orchestra e del coro dell’Opera, preparato da Deitan Lumshi, insieme al sovrintendente Abigeila Voshtina – spero che assistendo a questo Trittico, tutti coloro che verranno chiuderanno gli occhi del cuore camminando sulle nuvole create dall’insieme delle nostre emozioni, cercando di raggiungere, alla fine di questo viaggio dentro noi stessi, le luminescenti porte del cielo.
Crolla la rigida divisione tra comico e tragico e il teatro diviene il luogo adibito al racconto di tutti i giorni, nel quale il pianto e il riso che si alternano costantemente trovano un riscontro diretto in arie che muovono dalla più triste disperazione alla più esilarante comicità e tutti, da chi ascolta a chi suona, torna a casa certo che Puccini, che probabilmente mai come in quest’opera ha messo in musica la voce di Dio, abbia voluto indicare una nuova strada da percorrere, un nuovo mondo da guardare e un nuovo modo di guardarsi, cercando di comprendersi trovando se stessi negli altri, nella diversità.
Da un inizio a un altro inizio, attraverso una successione di nuovi inizi senza fine, ricordando costantemente a noi e agli altri che il fine ultimo di ogni nostra giornata è la ricerca stessa di quella felicità che per tutto il giorno abbiamo cercato di comprendere”.
Economia e concentrazione hanno forti riflessi nella condotta musicale, miniaturizzata, con una scelta quasi antologica di tecniche molto avanzate che daranno spunto al teatro moderno, a quello almeno governato da un meccanismo ridotto, disposto per azioni veloci senza dispersioni.
Il tabarro si cala nel ventre di Parigi, nell’abbrutimento di Zola. Se da un lato aumenta la carica verista, con riferimenti persino a Giordano, dall’altro indulge al bozzetto, alla fotografia, alla grande aria tardoromantica di Michele e anche al souvenir esotico, come nella Frugola, con le sue scale per toni interi che indicano qui le rigide chiusure, ovvero il passato e la morte.
“Il Tabarro è un lavoro che amo tanto quanto Tosca o il personaggio del Barone Scarpia – rivela il baritono Carlos Almaguer che sarà Michele – Puccini ha reso le sue partiture una vera opera d’arte. Michele è un personaggio favoloso ma purtroppo triste, perché la sua storia d’amore non è quella che avrebbe voluto. La gelosia lo porta alla follia e perde la testa uccidendo Luigi. Non so cos’altro dire, la gelosia è il peggior incubo di un essere umano.
Ora per quanto riguarda la musica è difficile ma fantastica, Puccini era un genio e sapeva comporre per cantanti proprio come Verdi e credo sia proprio lui l’erede di Verdi poichè erano due geni. Per me vocalmente parlando, Michele è un personaggio che dovrebbe essere cantato da un baritono maturo che ha vissuto varie esperienze nella vita e la vocalità deve adattarsi al personaggio.
Adoro questa figura che ho interpretato in Messico, Bulgaria, Francia e ora qui a Tirana, indosserò di nuovo il misterioso tabarro, diretto da un’eccellenza della scuola direttoriale italiana, quale è Jacopo Sipari, prima uomo generoso, quindi, pari musicista”. Donata D’Annunzio Lombardi sarà Giorgetta, “Personaggio inserito in una vita pesante e faticosa – racconta il soprano – ma lei non rinuncia a desiderare altro vista la sua giovane età, pensa, così, di far leva in un nuovo amore cercando di dimenticare la morte del suo bambino e una vita che non le appartiene più.
La voce segue perfettamente questi sentimenti, l’orchestrazione pucciniana, impegnata in nuovi linguaggi più adatti al teatro di prosa in verità, che a quello dell’opera, si esprime nel canto di conversazione, lasciando ai grandi squarci sinfonici pochi accenni, schizzando un vero tableau di vita autentica, dove tutti sopravvivono e tutti perdono. Così, questo Tabarro diviene metafora della Grande Guerra, che al momento della composizione del Trittico stesso, tranciava ogni speranza di felicità possibile”.
A completare il cast de’ Il Tabarro, Armando Likaj Michele e la Giorgetta di Dorina Selimaj del secondo cast, il Luigi di Guo Zi-Zhao, il Tinca di Erlind Zeraliu, la Talpa di Bledar Domi, la Frugola di Vikena Kamenica e Ivana Hoxha, il venditore di canzonette di Andi Istrefi e i due amanti Viola Bakiasi e Gerald Murrja.
Non occorrono commenti per spiegare con quanta esattezza Suor Angelica, datata 1918, corrisponda alla prassi moderna di alludere ad una realtà nefanda, mettendo sul tappeto, in sua vece, evasivi primitivismi e candori.
In Suor Angelica si rivelano le esasperazioni modali che scivolano verso le scale per toni interi, già sperimentate in Butterfly, con l’orchestrazione lucida, o trasparente come una vetrata, con una qualità arcaica come la poteva intendere Stravinsky, che rappresenta l’esasperazione della suora. In orchestra a ri-confrontarsi con questa partitura, anche tre studenti del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno, il percussionista Carmine Di Muro, il trombettista Salvatore Mulè e il flautista Giovanni Regine.
Puccini lega assai bene e in maniera coerente la qualità fonica alla situazione dei personaggi, sino al confluire del dramma nel miracolo sfolgorante, senza timore di mettere a nudo una condizione psichica non certo reale, ma estatica, ovvero tutto quello che può fare una povera madre in un claustrofobico convento.
Tanti personaggi e tutti importanti a cominciare dal ruolo del titolo condiviso da Eva Golemi e Ramona Tullumani, la Zia Principessa, i contralti Vikena Kamenica e Ivana Hoxha, la Badessa, Amelda Papa, la suor zelatrice Ina Gaqi, la maestra delle novizie, Shamsah Gega ed Enkelejda Katroshi, Suor Genovieffa, Renisa Laçka e Marina Kurti, Suor Osmina, Greis Shametaj, Suor Dolcina,Viola Bakiasi, la suor Infermiera Sofika Kola, le cercatrici, Rovena Xhelili ed Eglantina Shkurti, una novizia Redrina Kokona e le converse Suada Gjergji ed Irena Saraçi.
Torna in patria il baritono Gezim Mysketa per vestire i panni di Gianni Schicchi: “Sono onorato di poter cantare nella mia patria e incontrare tra le note di Puccini il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli, poiché da tanto tempo desideravo collaborare con lui.
E’ una grande responsabilità chiudere questa serata poiché è un ruolo molto complicato, ma soprattutto la recitazione che mi attende, per rendere un personaggio furbo e camaleontico che è il motore intero dell’opera.
Sicuramente la collaborazione col festival Puccini con le meravigliose scene e costumi affidate alla regia della Gurra mi inorgoglisce dato che l’ultima volta del mio Schicchi a Tirana nove anni fa mi vedeva anche in veste di regista”.
Cast che saluterà l’altro Gianni Schicchi, Solen Alla, Lauretta divisa tra Renisa Laçka e Nina Muho, la zita invece, sarà Ivana Hoxha, quindi il doppio Rinuccio di Matias Xheli e Denis Skura, Gherardo, interpretato da Roel Llupo e Gerald Murrja, la Nella sarà Dorina Selimaj e Gherardino, Luis Brahimi, mentre Betto di Signa avrà la voce di Bledar Domi, Simone sarà Artur Vera, Marco Genc Vozga, la Ciesca, Simona Karafili, Maestro Spinelloccio Erion Sheri, Ser Amantio di Nicolao Ogert Islami, Pinellino Kristo Qerama e Guccio Metin Jupe. Forse mai Puccini fu più se stesso come nel Trittico, dove ad un pianto struggente segue una lunga sghignazzata, con tutta quella possibile monelleria interamente toscana.
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