Mattarella difende la “scuola di tutti”: non è un luogo di selezione sociale

Mattarella difende la “scuola di tutti”: non è un luogo di selezione sociale

Da don Milani anche lezione sul confronto: “Non tacitare libri o presentazioni”

Barbiana (Vicchio), 27 mag. (askanews) – Sale a Barbiana, borgo tra i boschi di Vicchio, dove don Lorenzo Milani, prete ed educatore scomodo, fu ‘esiliato’ nel 1954, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lo fa per rendere omaggio a “un maestro”, a “un grande italiano”, ma anche a un’idea di scuola che “è di tutti e deve essere per tutti”, a un’idea di impegno che è “responsabilità attiva”. Alla fine un’idea di società, di cui la scuola è lo specchio.

Una scuola la cui prima finalità deve essere, ieri come oggi, “eliminare ogni discrimine” riconoscendo – il Capo dello Stato lo puntualizza in tempi in cui il ministero è diventato il ministero dell’Istruzione e del merito – che “il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito”. Insomma non si possono fare, citando proprio don Milani, “parti uguali tra disuguali” perché è “la più grande ingiustizia”. “Merito – riprende Mattarella – è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto e per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito”.

Mattarella guarda ancora alla scuola di Barbiana, una scuola che non chiudeva mai e dove non c’erano vacanze, per esaltarne l’essenza nella “voglia di imparare, la disponibilità a lavorare insieme agli altri”, la capacità “di osservare le cose del mondo con spirito critico. Senza sottrarsi mai al confronto, senza pretendere di mettere a tacere qualcuno, tanto meno un libro o la sua presentazione”. Parole che cadono a una settimana dalla chiusura del Salone del libro di Torino e dalle polemiche per la contestazione da parte di attivisti di Non una di meno e di Extinction Rebellion alla ministra della Famiglia Eugenia Roccella, che non ha quindi presentato il suo libro.

Insomma, osserva Mattarella, don Milani “invitava a saper discernere”, a coltivare “il primato della coscienza responsabile” e la Costituzione era il suo “Vangelo laico”. Un Vangelo tradotto in un solo motto, essenziale e potentissimo, quel famoso “I care” che, come rileva Rosy Bindi, presidente del comitato per le celebrazioni dei cento anni di don Milani (che morì giovanissimo, a 44 anni, obbedendo sempre a una Chiesa che criticava ma alla quale apparteneva e che lo ha capito solo dopo molto tempo, come ha ammesso a Barbiana il presidente della Cei Matteo Zuppi), è in aperta contrapposizione con un altro motto: il “me ne frego fascista”.

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