
Gorgona Bianco di Marchesi Frescobaldi, vino che sa di mare e speranza
Milano, 18 giu. (askanews) – Gorgona è la più piccola e la più a Nord delle sette isole che compongono il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. E’ un sassone puntuto di 2,2 kmq che tocca i 255 metri di altitudine, ricoperto da una fitta e profumata macchia mediterranea. I poco meno di 40 km che la separano da Livorno, la motonave La Superba li percorre con una certa flemma in un’ora e 20 minuti, Mar Ligure permettendo, dato che può capitare che faccia la voce grossa anche per due settimane consecutive. Dal 1869 è una sede distaccata della Casa di reclusione di Livorno e tecnicamente è un istituto a custodia attenuata ma in pratica è una colonia agricola, l’ultima isola carcere di questo genere in Europa. Abitata già nel Neolitico, a Natale scorso Gorgona ha perso la sua ultima abitante, la 97enne Luisa Citti, pronipote di una piccola schiera di contadini e pastori che il Granduca di Toscana aveva scelto nella Lucchesia perché ripopolasse l’isola. Oggi molti di loro, compresa Luisa, riposano nella quiete del piccolo cimitero di qui. E così, sotto i ruderi delle due fortificazioni che proteggevano questo meraviglioso scoglio dai pirati (la pisana Torre Vecchia e la medicea Torre Nuova), sono rimasti solo detenuti, una novantina, e gli agenti della polizia penitenziaria chiamati a vigilare su questo microcosmo autonomo che, per quanto è possibile, si autosostiene. Perché alla Gorgona i detenuti lavorano e ricevono una paga e per questo qui arrivano autori di gravi reati di sangue (omicidi e femminicidi, soprattutto) a scontare la fine della loro pena, scelti in base alla buona condotta e alle loro competenze tecniche (muratori, elettricisti, contadini, allevatori, ecc.) con le quali devono garantire il mantenimento e il restauro delle strutture, a partire dalle due sezioni che compongono il carcere: ‘Capanne’, che ospita la maggior parte dei detenuti, e ‘Transito’ dedicata ai cosiddetti articolo 21, cioè a coloro che beneficiano della possibilità di svolgere attività lavorativa fuori dal carcere e che sono complessivamente una quarantina.
Una quindicina di anni fa, Frescobaldi è stata l’unica Cantina a partecipare ad un bando per sviluppare qui un progetto vinicolo, un altro tassello che contribuisse al reinserimento lavorativo e sociale, nello spirito dell’articolo 27 della nostra Costituzione il cui testo campeggia sul muro che sovrasta il pugno di casette colorate dell’isola: ‘Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. A prendere vita è stato così un magnifico anfiteatro che domina il mare dove nel 1999 l’istituto penale con l’aiuto dell’Università di Pisa piantò le prime vigne, e che oggi è un trionfo di Vermentino e Ansonica, mentre, altre terrazze accolgono qualche filare di Sangiovese e Vermentino Nero che danno vita al ‘Gorgona Rosso’ affinato in orcio di terracotta e poi prodotto in un migliaio di bottiglie. Vitigni biologici gestiti e vinificati da tre detenuti assunti da Marchesi Frescobaldi, sotto la supervisione di un agronomo, Federico Falossi, e dell’enologo dell’azienda, Niccolò D’Afflitto.
Adesso le vigne ricoprono complessivamente 2,3 ettari (un tempo allevati a spalliera oggi ad alberello) ma questi suoli prevalentemente sabbiosi con forte presenza di rocce metamorfiche (dal punto di vista geologico Gorgona è una continuazione nel mare delle Alpi Apuane), dovrebbero accogliere due nuovi vigneti di Vermentino e Ansonica, dopo che l’azienda ha recentemente rinnovato l’accordo con il Dap fino al 2049. Il progetto c’è e le due aree, a picco sul mare, sono già state individuate e possono contare almeno in parte su una serie di terrazze già esistenti da ripristinare. Il ‘Gorgona Bianco Costa Toscana IGT’ del resto è il cuore di questo bel progetto che la storica azienda toscana punta a far crescere compatibilmente con tutte le difficoltà ambientali e logistiche dell’isola carcere. Un vino figlio di un cru anche simbolicamente prezioso, delicatissimo nella sua sapidità ed elegante mineralità, che oggi viene prodotto in novemila bottiglie destinate alla fascia super premium del canale horeca.
La cantina è stata ricavata in un piccolo ex garage. ‘Quando siamo arrivati qui non c’era né la pressa pneumatica né il frigorifero e il vino che si faceva non era proprio memorabile, diciamo’ racconta D’Afflitto, ricordando che ‘Lamberto Frescobaldi arrivò qui il 3 agosto 2012, io intorno al 15: l’uva era molto bella e le condizioni del terreno e del clima erano straordinarie, però, come fai a sapere prima di vinificare come verrà fuori il vino? Una prima idea seria ce la siamo fatta verso ottobre-novembre, quando abbiamo capito che eravamo davanti ad un cru eccezionale, con le sue unicità, le sue peculiarità e la sua storia. Abbiamo vinificato e continuiamo a vinificare con una semplicità e una primordialità enologica che preserva il cru: i nostri operai raccolgano l’uva manualmente in piccole cassette, cinque quintali al giorno, che carichiamo nella pressa ottenendo una barrique di vino fiore e poi qualche damigiana di pressato. La prima fermentazione viene svolta a temperatura controllata e la seconda parte in barrique di terzo passaggio’. Le botti piccole sono quelle che vengono utilizzate per portare il vino sulla terra ferma dove viene imbottigliato.
A seguire per Frescobaldi tutte le operazioni è l’enologo Francesco Duranti, che festeggia quest’anno la sua ottava vendemmia delle 13 che l’azienda ha curato sull’isola. ‘Se il mare mitiga sia d’estate che d’inverno i picchi delle temperature, il vento, soprattutto di libeccio e di scirocco, può spingere la salsedine sulle cime dei primi filari e persino sui pini, ‘bruciandoli” spiega, soffermandosi però soprattutto sull’importanza dell’aspetto umano e sociale del suo lavoro. ‘Le persone con cui collaboriamo, a partire da Daniele che oltre ad essere trattorista fa anche il cantiniere, hanno sempre svolto questo lavoro con una passione, una dedizione che difficilmente si ritrova altrove’ prosegue Duranti, aggiungendo che ‘qui il lavoro non è visto soltanto come una fonte di remunerazione ma è anche un modo per andare avanti e passare le giornate in questo percorso difficile che sono costrette ad affrontare. La fase del lavoro più pittoresca ma anche quella più bella e ricca di soddisfazione – conclude – è quando le barrique vengono portate via: è una giornata in cui tutta l’isola è in festa e tutti aspettano il passaggio del trattore con le botti che poi vengono caricate su una chiatta prima tappa verso l’imbottigliamento che viene fatto a Firenze’.
A Gorgona è stato appena presentato in anteprima il piacevolissimo millesimo 2024, che quest’anno celebra in etichetta le 50 specie di farfalle che abitano l’arcipelago toscano, ‘simbolo di equilibrio e trasformazione che racconta il ruolo chiave della biodiversità’. ‘Questo è un giorno di grande emozione per tutti noi, la prima volta che venni in questa isolina di poco più di 200 ettari 13 anni fa, girai a piedi prima in vigna che allora era circa un ettaro ed era tenuta benissimo, poi alla cantina dove c’era un ragazzo musulmano che dunque non poteva avere la tentazione di berlo, e poi mangiai con un educatore: fu un giorno davvero molto forte’ racconta il presidente Lamberto Frescobaldi, sottolineando che ‘fare questo percorso insieme con i detenuti è per noi un motivo di grandissimo orgoglio: la cosa straordinaria di una bottiglia di vino è che viene spedita in tutto il mondo portandosi dentro persone, storia, gioie ma anche dolori, voglia di riscatto e di speranza, tutte cose che troverete poi nel bicchiere’.
‘La sensazione che si prova venendo qua è quella di comunità, di armonia, di rispetto: in una parola, di speranza. Un modello detentivo che ha nel lavoro condiviso la sua forza, cioè qui i detenuti lavorano in un ambiente che è simile a quello libero. Qui abbiamo fornai, apicoltori, agricoltori, fabbri, elettricisti e tutti si sentono parte di una comunità, acquisiscono delle competenze che poi verranno spese all’esterno una volta usciti’ afferma il direttore del carcere, Giuseppe Renna, rimarcando che ‘io questa sensazione la chiamo speranza e per me è un valore fondamentale in un luogo come questo. Lamberto Frescobaldi, andando controcorrente, ha scommesso sulla possibilità di produrre qui un vino di altissima qualità, mettendo a disposizione dell’isola, dei detenuti, della comunità non solo il suo know how ma soprattutto importanti competenze tecniche ed umane’.
Sono vent’anni che a Gorgona non si registrano fatti di sangue né tentativi di fuga, e i detenuti qui non sono intontiti dagli psicofarmaci perché incompatibili con il lavoro che sono chiamati a fare. Sgobbano tutti i giorni per sfuggire alla noia, per guadagnare i soldi da mandare alle famiglie e per imparare una professione che una volta fuori potrebbe salvarli. Il vino qui è una via d’uscita anche se chi lo fa non non può assaggiarlo. Lo farà di sicuro una volta uscito, magari con in mano un lavoro vero. (Alessandro Pestalozza)