Enrico Caruso: dalla fame alla fama
Domani mattina verrà presentato, alle ore 11,30 nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo in Napoli, il volume di Enrica Donisi “ Enrico Caruso e la scuola ciandelliana” in libreria per le edizioni Guida. Interverranno oltre l’autrice, Gaetano Bonelli, Ivano Caiazza, Olga Chieffi, Lello Reale e Letizia Testa, moderati da Angela Procaccini
Enrico Caruso è stato, probabilmente, il più grande tenore di tutti i tempi, sicuramente il più amato. Un nome che è divenuto un mito e che da “emigrante” artistico ha portato l’opera lirica e le canzoni napoletane a essere conosciute e cantate in tutto il mondo.
La sua storia, senza bisogno di essere “romanzata”, rappresenta un modello quasi simbolico del riscatto sociale attraverso l’arte che da sempre affascina il pubblico: raggiungere il sogno partendo da una condizione sociale di povertà e disagio.
Enrico Caruso è un’eccellenza campana ed è uno dei massimi simboli dell’arte tutta che è salvifica. Nato in una Napoli poverissima di cui ci sono rimasti ancora i dagherrotipi a mostrarci scugnizzi scalzi e mal vestiti, dove la fame la faceva da padrona, Enrico Caruso, diciottesimo figlio di una coppia disgraziata che non stava né meglio né peggio di quel sottoproletariato sconfitto da sempre e pieno di speranze nei santi e nella Provvidenza, avrebbe avuto un futuro da fabbro.
Ma la voce, il canto e su tutto lo studio e l’abnegazione, l’ingegno, fecero il vero miracolo e “carusiello” divenne il tenore dei tenori. Enrico Caruso seppe cantare e ricordare la patria a quegli italiani che all’inizio del ventesimo secolo decisero di cercar fortuna nel Nuovo Mondo.
Molti di loro erano di origine partenopea e non potevano permettersi il viaggio di ritorno sul piroscafo che traghettava l’Atlantico tra Napoli e New York, ma andavano ad affollare le sale del Metropolitan Theather, cercando quel sole e quel tepore della nostra regione, che tanto bene riusciva a descrivere la voce di Enrico Caruso, sia nell’opera che nel canzoniere partenopeo, che lo rese celebre.
Venerdì 23 febbraio, alle ore 11,30, se ne parlerà nella chiesa di San Giovanni e Paolo, con Lello Reale, Presidente dell’Associazione Casa Museo Enrico Caruso, Letizia Testa, Dirigente dell’ I.S.I.S. Enrico Caruso, Gaetano Bonelli direttore della casa museo Enrico Caruso, nonché il suo direttore artistico Maestro Ivano Caiazza, unitamente al critico Olga Chieffi e moderati da Angela Procaccini, nell’ambito della presentazione del volume di Enrica Donisi “Enrico Caruso e la scuola ciandelliana”, in libreria per le edizioni Guida.
Da mediocre tenore a star internazionale: Enrico Caruso deve la sua voce a Vincenzo Lombardi, verso cui ha sempre nutrito una profonda riconoscenza. In aggiunta la Scuola ciandelliana ha fornito a Caruso un significativo contributo.
Lombardi è stato un eccellente direttore d’orchestra e maestro di canto. Ha ricevuto l’istruzione violoncellistica dal padre Michele, ex allievo dell’Orfanotrofio di S. Lorenzo in Aversa.
Dalla laboriosa ricerca archivistica compiuta sono stati ricostruiti gli anni decisivi della formazione di Caruso; la biografia e l’attività artistica di Vincenzo Lombardi; alcuni aspetti dell’attività di Pietro Mascagni.
Sono venuti alla luce realtà, compositori e musiche sconosciuti o poco conosciuti; aspetti normativi e didattici dei conservatori nei secoli XIX e XX. Michele Lombardi ha inserito nell’ambiente ciandelliano anche gli altri figli: Giuseppe che ha esportato la Scuola ciandelliana a Malta; Nunzia, arpista e cantante; Carlo, legato da vincoli artistici al giovane Caruso e a Salvatore Cajati.
In questo contesto sono stati ricostruiti alcuni aspetti fondamentali dell’attività di Luigi Stefano Giarda, figura di primo piano in Italia e in Cile. Diversi esponenti delle famiglie Ruta, Cottrau e Mugnone – vicini a Caruso – fanno capo a Ciandelli, la cui Scuola mette radici nelle Americhe, in Europa e in Italia. Anche la canzone napoletana occupa un posto di rilievo.
Gaetano Negri, allievo di Ciandelli e caposcuola di una prestigiosa Scuola contrabbassistica, rivendica un ruolo di pari dignità del contrabbasso rispetto agli altri strumenti che ricorda le linee guida del suo maestro.
Gli studiosi che si approcciano alle indagini storico musicali dal secolo XIX in poi devono necessariamente tener conto della Scuola ciandelliana.
La musicologa e filosofa, nonché storia della musica Enrica Donisi, da anni si dedica allo studio non solo di Ciandelli, ma anche dell’ambiente napoletano dell’Ottocento così ricco di stimoli culturali e artistici, dall’indagine su grande cellista e didatta, passa a porre sotto il suo angolato vedere, la figura di Enrico Caruso del quale la Donisi ricostruisce con attenzione la formazione, individuando i punti di contatto con l’ambiente napoletano e in particolare con la scuola ciandelliana: «La mia voce è un violoncello» dichiarava il grande tenore.
Un’indagine quella della Donisi che è stata pass partout per indagare anche altri campi pretesto per spaziare anche in altri campi. «Lo studio del partimento e dell’alta composizione – si legge nelle note di copertina – le arditezze contrappuntistiche, i pezzi strumentali virtuosistici, la pari dignità riservata a tutti gli strumenti, la forte sensibilità alla sperimentazione timbrica e alle potenzialità degli strumenti, i richiami alla musica tedesca, la varietà delle melodie, napoletane o di sapore orientale, rendono conto dell’elevata qualità musicale della Scuola ciandelliana e delle contaminazioni reciproche fra i vari “generi”.
Ne beneficia pure la musica napoletana. Le più famose canzoni napoletane sono state composte dai ciandelliani». Ed è interessante citare un parallelo che la Donisi propone nella prima parte del volume fra Paganini e Caruso, traendolo da uno studio di primo Novecento di Tortorelli: «Come Nicolò Paganini sapeva trarre dal suo magico legno cento, mille voci, mille note diverse, che creavano l’ammirazione, il pianto, la esaltazione negli spettatori, così Enrico Caruso trae dalla sua gola magica suoni e figure più diverse ed inattese che raggiungono direttamente il cuore, colpiscono ed eccitano la fantasia fino al delirio.
Paganini e Caruso rappresentano, ognuno nella propria arte, quanto di più alto ed eloquente possa esprimere un artista, un esecutore, sorretto dal divino dono di una forza sovrumana».
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