“Dare la vita”: l’ultimo libro di Murgia sulla gravidanza surrogata
Uscito per Rizzoli il libro che la scrittrice ha voluto finire
Roma, 10 gen. (askanews) – Michela Murgia aveva in animo di scrivere un libro sulla gestazione per altri, o surrogazione, da oltre sei anni: lo dice nella postfazione Alessandro Giammei, il curatore di “Dare la vita”, ultimo saggio dell’intellettuale e romanziera morta nel 2023 a soli 51 anni. Un saggio elaborato con estrema fatica che si è “trovata a dover chiudere in meno di sei settimane”, quanto le ha concesso alla fine la malattia.
Elaborato dunque in parte da materiale nuovo, in parte da riflessioni già scritte. “Per sistemare queste scritture secondo le volontà di Michela sono ricorso oltre che alla mia memoria e al suo archivio, a diversi messaggi… alcuni dei quali mi hanno anche fornito brevi brani di raccordo, introduzione e cerniera necessari… a dare continuità alla lettura” scrive Giammei.
Il saggio su uno dei temi più ostici e controversi della politica e dell’etica italiana si legge, in effetti, come un continuum. Alle riflessioni sul significato stesso di “dare la vita”, da Murgia (che figli biologici non ne ebbe, ma quattro “d’anima”, alla sarda, sì), segue l’analisi del concetto di ‘famiglia queer’: quella che non è tutelata dalle leggi italiane, e che vive fuori dai parametri.
Il nucleo del saggio, sulla GPA, comincia con un assunto: la maternità non è solo “una funzione biologica”: “non è tollerabile oggi in un discorso serio sentir definire ‘maternità’ il processo fisico della sola gravidanza”. Non oggi, quando per la prima volta nella storia le donne possono sfuggire se lo vogliono al destino di essere madri per forza, e quando tante famiglie doppie o triple vivono con figli adottivi o d’anima con cui non hanno legami biologici.
“Di conseguenza è improprio anche discutere di ‘maternità surrogata’. Si può discutere invece di gravidanza surrogata, purché resti chiaro che si tratta di una cosa profondamente diversa”.
Ne conseguono diverse riflessioni. Primo: la GPA è una questione di soldi, sì. Donne o famiglie più ricche sfruttano la disponibilità di donne bisognose a offrire il loro corpo e la loro persona per una gravidanza (non una maternità). E non è neanche una storia recente: Murgia ricorda le tante schiave che nella Bibbia partoriscono figli per le mogli infertili dei profeti.
Sono sfruttate, le donne che si prestano alla GPA? Sì, e in pagine luminose Murgia scrive, “ma questa affermazione può essere applicata anche alla signora rumena che ha lasciato i figli alla madre per venire qui a fare la badante a nostra nonna… È ipocrita non voler vedere che la nostra emancipazione, la libertà di andare a lavorare o vivere la vita della nostra famiglia anziché votarsi all’assistenza di una persona anziana è conquistata a prezzo della non emancipazione di altre donne, alle quali il compito di cura che la società ha sempre preteso dalle donne italiane è stato trasferito”.
Murgia ne conclude che la GPA va regolamentata, perché là dove non c’è una legge, si finge che il fenomeno non esista, mentre se lo si vieta, lo si ricaccia solo oltre confine, magari in India. Tutelare le donne significa garantire loro fra l’altro un giusto compenso. Non solo: non considera accettabile una legge sul modello californiano, che obbliga la gestante a cedere il figlio alla nascita.
“Proprio perché un essere umano non è una merce, in nessun caso il denaro versato alla donna gestante può essere considerato un corrispettivo” per il o la nascitura (nel libro è usata la schwa), “ma sempre e soltanto una remunerazione della sua gestazione”. Si paga il tempo ma non si compra chi nasce, la cui cessione “avviene per pura volontà da parte di colei che ne è a tutti gli effetti la madre fisica”. Così come non si può obbligare la gestante ad abortire di un feto non perfetto.
Murgia però invita caldamente a non lasciarsi prendere dall’ipocrisia: chi si oppone alla GPA, dice, non ha alcun interesse per quel che accadrà ai bambini (si veda il capitolo “Cosa penseranno i bambini (come se ce ne fosse mai importato niente)”. E osserva, “il primo a dirti che ‘il meglio è nemico del bene’ è proprio il famoso buon senso con cui la destra, la tradizione e il patriarcato vorrebbero impedirci di ripensare a soluzioni alternative per fare famiglia”.
Questo pamphlet edito da Rizzoli, con le sue 122 pagine, offre molti altri spunti, pensieri laterali, forse soluzioni per ‘fare famiglia’ in questi tempi di rivoluzione tecnologica oltre che sociale. Farà venire l’orticaria a molti, come spesso Murgia ha fatto in vita.
Il punto è che con Michela Murgia, oggi come ieri, si può essere o meno d’accordo; ma non si può ignorare che da ogni riga traspare l’intelligenza lucida e visionaria dell’intellettuale a cui la formazione teologica era servita, oltre che per la sua fede personale, come palestra di ragionamento e retorica. Ci lascia il suo appello: “Quando qualcosa non vi torna datemi torto, dibattetene, coltivate il dubbio… La mia anima non ha mai desiderato generare né gente né libri mansueti, compiacenti, accondiscendenti. Fate casino”. (di Alessandra Quattrocchi)