Bankitalia: Bitcoin e cripto valgono 2.750 mld, rischi stabilità

Bankitalia: Bitcoin e cripto valgono 2.750 mld, rischi stabilità

Rivelazione Banca d’Italia in un riquadro di analisi inserito nel Rapporto sulla stabilità finanziaria

La rapida crescita di Bitcoin e di altre criptovalute, caratterizzate da una notevole instabilità dei prezzi, presenta non solo rischi per gli investitori, ma anche potenziali minacce alla stabilità finanziaria. Questo è quanto osservato dalla Banca d’Italia in un’analisi riportata nel Rapporto sulla stabilità finanziaria.

Secondo l’analisi, il valore di mercato delle criptovalute, già in incremento nel 2024, ha subito un ulteriore aumento dopo le elezioni presidenziali statunitensi e l’annuncio di iniziative per promuovere l’uso di strumenti digitali in dollari da parte della nuova amministrazione. In seguito, ha registrato una discesa, arrivando a 2.750 miliardi di dollari alla fine di marzo.

“Oltre il 60% del mercato è composto da Bitcoin, mentre il 30% è rappresentato da criptovalute prive di copertura (unbacked crypto-assets). Solo il 9% – segnala Bankitalia – è costituito da stablecoin”, ovvero attività digitali emesse da soggetti che collegano il loro valore a valute tradizionali.

L’analisi indica che “alcuni operatori stanno rivedendo i propri modelli di business e le decisioni finanziarie, con una maggiore attenzione verso le criptovalute. Dalle informazioni di fonti specializzate emerge che una significativa parte di Bitcoin è in possesso di emittenti di fondi negoziati in borsa (ETF) e dei bilanci di alcune aziende non finanziarie. In particolare, queste ultime effettuano investimenti con l’idea che Bitcoin sia in grado di mantenere i propri valori, anche se ciò le espone alla sua significativa instabilità di prezzo”.

Inoltre, una parte significativa di Bitcoin è detenuta “da aziende attive esclusivamente nel settore delle criptovalute”, come quelle di scambio “che, a causa della mancanza di requisiti di governance specifici, possono essere soggette a potenziali conflitti di interesse. Tre quarti di tali aziende sono situate negli Stati Uniti; alcune hanno sede in Cina, Canada e Regno Unito. La loro presenza nei Paesi della zona euro è attualmente minima”.

Nel frattempo, l’interesse crescente di banche e altri intermediari per soluzioni basate su registri distribuiti e infrastrutture decentralizzate a livello globale potrebbe incrementare il ricorso a criptovalute sia per le operazioni finanziarie tradizionali che per l’emissione di strumenti e servizi innovativi, anche grazie alla collaborazione con grandi aziende tecnologiche (BigTech).

Giovanni Lombardi Stronati

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