L’equazione sudcoreana: dazi e soldati nella trattativa con Trump

L’equazione sudcoreana: dazi e soldati nella trattativa con Trump

Roma, 17 lug. (askanews) – La Corea del Sud potrebbe accettare un ridimensionamento “ragionevole” della presenza delle forze statunitensi nel paese, piuttosto che aumentare il contributo economico alle Forze Usa in Corea (USFK), richiesto con insistenza dal presidente americano Donald Trump sulla falsariga di quanto ottenuto in Europa.

L’ipotesi è stata avanzata da uno dei principali collaboratori del presidente sudcoreano Lee Jae-myung, il diretto della Divisione diplomazia e sicurezza del Comitato presidenziale di pianificazione politica Hong Hyun-ik, in un articolo pubblicato oggi dal quotidiano di centrosinistra Hankyoreh.

Hong ha notato che Trump, dopo aver utilizzato “con successo” la guerra in Ucraina come leva per portare la spesa per la difesa dei Paesi membri della Nato al 5% del Pil, sta ora affermando la stessa pretesa nei confronti di Corea del Sud e Giappone. In particolare, per quanto riguarda la Corea del Sud, il presidente americano punta a una divisione dei ruoli, per la quale Seoul dovrebbe farsi carico della sicurezza della Penisola coreana, compresa la deterrenza nei confronti della Corea del Nord, mentre le Forze Usa in Corea dovrebbero concentrarsi principalmente sul contenimento della Cina. Inoltre, vorrebbe che la Corea del Sud aiutasse l’esercito statunitense a frenare la Cina in caso di un conflitto nello Stretto di Taiwan.

La conseguenza di questo approccio è, per la Corea del Sud, un aumento “vertiginoso” di una quota di spese per la difesa, che in passato era fornita dalla Corea del Sud “a titolo di buona volontà”, ha segnalato Hong, ricordando che inizialmente gli Usa avevano promesso di coprire tutti i costi di schieramento delle truppe americane in Corea del Sud, circa 24mila soldati attivi, conseguenza della Guerra di Corea del 1950-’53. Anzi, Washington minaccia l’imposizione di dazi al 25%, se Seoul non si piegherà entro la fine di luglio.

Secondo il funzionario sudcoreano, si tratta di una situazione che richiede una risposta “razionale, pragmatica e giudiziosa”, perché Seoul non può permettersi di registrare un deterioramento della relazione con gli Usa, dai quali in definitiva è determinata la sua sicurezza. Tuttavia, nello stesso tempo, non esigere il rispetto delle intese, compreso l’ultimo accordo raggiunto con la precedente amministrazione Biden, darebbe un segnale sbagliato all’alleato.

Ancora, secondo Hong, la Corea del Sud dovrebbe puntare ad assicurarsi un rapporto che almeno eguagli quello garantito a Tokyo: di fatto, la Corea del Sud – a suo dire – sta pagando già il 50% di più sul Pil rispetto al Giappone per il mantenimento nel paese delle forze Usa a causa di una serie di tecnicalità che il funzionario vorrebbe venissero adottate anche in Corea del Sud.

In Corea del Sud c’è preoccupazione rispetto all’ipotesi di un ridimensionamento del contingente Usa, a causa della sempre incombente minaccia nordcoreana. Tuttavia, al rischio – secondo Hong – corrisponde anche un’opportunità. “Potrebbe non essere accolta di buon grado in Corea del Sud la pressione di Washington per ridurre il contingente, nonostante i vincoli del Congresso. Ma se gli Usa lo desiderassero davvero, potremmo rispondere suggerendo che una riduzione ragionevole sarebbe accettabile. In questo modo potremmo preservare il rapporto amichevole con gli Stati uniti pur assumendo l’impegno della nostra stessa sicurezza”, ha spiegato il funzionario presidenziale.

In questo scenario, c’è margine per l’ottimismo, a dire di Hong. “Nel 2009 le forze armate sudcoreane avevano espresso fiducia nella loro capacità di respingere l’esercito nordcoreano senza l’aiuto statunitense e senza mobilitare le riserve. Il divario tra le capacità militari di Sud e Nord Corea si è ampliato da allora, lasciando ben pochi motivi di preoccupazione”, ha scritto il funzionario. “In passato – ha proseguito – gli Stati uniti hanno sostenuto l’onere dello schieramento delle truppe e della pianificazione e conduzione dei piani operativi. Per alleggerire tale peso e normalizzare una situazione anomala, la Corea del Sud deve ora assumersi veramente responsabilità chiave nel dissuadere e respingere l’aggressione della Corea del Nord e prendere la guida del Comando Congiunto RoK-Usa”.

In questo senso, la Corea del Sud deve acquisire rapidamente le competenze di pianificazione e comando, inclusa la formulazione di piani operativi, diventando il protagonista della sicurezza nella Penisola coreana e fissando, entro questa amministrazione, “una data per riprendere il controllo operativo in tempo di guerra”, che attualmente è in capo agli Stati uniti. “Dato che il potere di fuoco convenzionale della Corea del Sud è al quinto posto nel mondo, rispetto al 36mo della Corea del Nord, siamo più che in grado di acquisire in modo sicuro le capacità di pianificazione e comando operativo”, ha affermato il funzionario.

Resta tuttavia un punto cieco in questa visione: la Corea del Nord ha sviluppato capacità nucleari, mentre la Corea del Sud ha rinunciato a farlo per volontà della comunità internazionale e, soprattutto, degli Stati uniti. Da questo punto di vista, l’unica soluzione è che gli Stati uniti garantiscano una forma di deterrenza estesa “più chiara e concreta”, ha scritto Hong, affinché l’opinione pubblica sudcoreana “non avverta alcuna necessità di sviluppare capacità nucleari proprie”.

Un altro punto critico è quello della competizione tra Usa e Cina. La Corea del Sud sta in mezzo e deve barcamenarsi tra i rapporti storicamente (ed economicamente) stretti con il Paese di Mezzo e l’alleanza con Washington. “Dobbiamo chiarire che, anche se le forze Usa in Corea venissero impiegate in un conflitto nello Stretto, ciò non potrà causare scontri tra Corea del Sud e Cina, e qualsiasi indebolimento della deterrenza nei confronti della Corea del Nord dovrà essere ridotto al minimo. Dobbiamo inoltre stabilire che le forze sudcoreane non possono prestare supporto (contro la Cina), in virtù del loro ruolo di deterrenza contro l’aggressione nordcoreana”, ha spiegato il funzionario sudcoreano.

In conclusione, si tratta di una partita delicata, in cui le trattative sui dazi s’intersecano strettamente con gli equilibri geopolitici e con i dispositivi militari nella regione Asia-Pacifico. Un accordo, secondo Hong, dovrà trovare un punto d’equilibrio tra gli interessi reciproci. Gli atout di Seoul saranno “la disponibilità di Camp Humphreys a Pyeongtaek, la base più grande del mondo, in posizione ottimale per contenere la Cina; la cooperazione nella costruzione, manutenzione, riparazione e operazioni di navi da guerra, che gli Usa desiderano con urgenza; la partecipazione alle esplorazioni di giacimenti di gas naturale in Alaska; l’importazione di petrolio e gas statunitensi; la cooperazione sui semiconduttori”. Grazie a queste leve, Seoul dovrà puntare a realizzare una nuova forma di alleanza “basata sulla reciprocità e sul rispetto reciproco”, anche con l’amministrazione Trump.

(di Antonio Moscatello)

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